domenica 26 gennaio 2014

La corsa dei cani


Quando l’immaginazione supera la realtà. Il sogno di ogni incallito scommettitore si è finalmente avverato grazie alla complicità di uno Stato alla spasmodica ricerca di entrate. Non servirà più rivolgersi ad Aladino ormai costretto a riporre in soffitta la sua lampada magica, basterà recarsi in una sala scommesse regolarmente autorizzata per poter puntare non solo su eventi reali ma anche su gare che in realtà non si disputeranno mai se non nel cuore d’acciaio di un hardware che ad intervalli ravvicinatissimi annuncia sui monitor presenti in sala l’inizio di eventi virtuali quali partite di calcio, corse automobilistiche e ciliegina sulla torta …le corse dei cani.
Dopo un countdown spasmodico della durata di circa due minuti riprodotto a caratteri cubitali sul teleschermo insieme alle quotazioni, si chiudono le scommesse ed ecco entrare in campo (giocheranno sul sintetico?) la squadra dei “parmigiani” (consigliata a tutti gli amanti della cucina che non prestano attenzione alle calorie)  e la più blasona compagine degli “alabardati” (niente a che vedere con Ufo Robot Goldrake e Mazinga Z).
Gli scommettitori virtuali incollati al video vedono scorrere in rapida successione le principali azioni della partita che durerà il tempo di un caffè. Le sale bingo a confronto sono delle tartarughe quando annunciano i numeri del tombolone.
Ecco la prima azione: l’attaccante dei parmigiani entra in area di rigore e con un dribbling secco lascia sul posto due difensori e si appresta a calciare a colpo sicuro…palo esterno e palla che termina beffardamente sul fondo. L’azione riprende nella metà campo avversaria senza che nessuno se ne accorga: l’esterno sinistro degli alabardati entra in area indisturbato (qualche algoritmo è andato fuori controllo…) e viene atterrato…calcio di rigore inevitabile (l’occhio dell’arbitro virtuale non subisce condizionamenti di sorta nella convinzione che la propria consorte nel frattempo non gli volti le spalle). Esecuzione ineccepibile con palla in fondo al sacco sulla sinistra e portiere in tuffo plastico sulla destra. Il vantaggio degli alabardati, favoriti dal totalizzatore, accende le speranze degli interessati spettatori assembrati con tanto di ricevuta sotto il video della speranza. Manca ancora un’azione, e tocca ai parmigiani cercare di raddrizzare le sorti del match: da un calcio d’angolo battuto con palla in mezzo all’area svetta di testa una maglia crociata che indirizza in fondo al sacco…pareggio e fine delle ostilità. Caffè pronto e servito, per qualcuno sarà dolce al palato per molti avrà un sapore amaro. Questione di gusti.
Il capannello di gente non si disperde neanche al fischio finale come ipnotizzato dal prossimo annuncio del monitor: tra due minuti esatti inizia la corsa dei cani virtuali, occorre verificare con attenzione le quotazioni per poi precipitarsi alla cassa e puntare su quello vincente.
La fila poco ordinata ai punti di raccolta delle puntate viene scombussolata dall’assalto degli scommettitori virtuali che si intrufolano chiedendo una corsia preferenziale che la società autostrade non ha ancora progettato. Con nonchalance mista a lucida follia un tizio si fa largo chiedendo al primo della fila di poter scommettere: ”Scusa mi parte la corsa dei cani, potrei scommettere su Raimondo, il numero 6?”  - “Fai pure” gli risponde il primo dei non eletti con sorpresa e curiosità. “Grazie. Allora fammi 20 e 20 sul 6!!” replica il virtual better rivolgendosi direttamente alla sportellista. Due banconote da 20 euro reali (quelle del Monopoli non sono ancora in corso di validità) consegnate nella mani della dea bendata dell’algoritmo che in pochi minuti emetterà il suo ineludibile responso.
La corsa mai partita nella realtà è già finita e di Raimondo schierato ai nastri di partenza col numero 6 si sono ormai perse le tracce.
Della montagna di ricevute disperse per la sala se ne occuperà l’impresa di pulizie.
Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

sabato 11 gennaio 2014

Vietato fumare



Pare che si possa fumare negli uffici. La notizia esclusiva che non ha ancora trovato una conferma ufficiale, è esplosa come una bomba ad orologeria pochi giorni fa con un lancio di agenzia riportato dalle principali testate giornalistiche e dai tg di mezza Italia.
Proprio in questo momento numerose televisioni provenienti da ogni parte del globo sono collegate in diretta con  la sede di una nota associazione del nord Italia dove è in corso un esperimento antropologico senza precedenti: un gruppo di incalliti fumatori è barricato da oltre quarant’ore in una stanza della sede ribattezzata “la camera a gas” senza cibo, acqua e vestiti di ricambio (almeno l’igiene personale…) per protestare contro le discriminazioni che devono subire  quotidianamente.
Tutti loro sono fermamente convinti delle proprietà taumaturgiche del tabacco e della nuvola di fumo generata dalla sigaretta per questo vorrebbero convincere innanzitutto i riottosi colleghi che del fumo passivo fanno una crociata (perché lo vogliono bandire!) per poi passare al resto del mondo. Nella “camera a gas” non esistono limiti di sorta: è possibile fumare illimitatamente (a prescindere dal piano tariffario in abbonamento o ricaricabile) e soggiornarvi per il tempo che si ritiene necessario.
Le principali case produttrici di tabacco stanno seguendo con attenzione e distaccato interesse questa incredibile iniziativa.
In questa sorta di “Grande Fratello dei senza filtro” sembra sia in corso un’accesa discussione per stabilire regole certe e trasparenti (si fa per dire). Come si dice dalle nostre parti ad ognuno il suo statuto. Non è ancora chiaro (ci si ricasca sempre) il sistema di voto che verrà adottato per eleggere il leader dei cameragassati come qualche intrepido giornalista si è già spinto a definirli (nulla a che vedere con i ferrarelliali sempre col piede in due scarpe ed i puristi levissiani).
Da indiscrezioni in nostro possesso sembra che una fazione molto nutrita stia cercando di far passare il principio del proporzionale (tanti voti quanti più pacchetti di siga consumeranno in una giornata).
Questa singolare comunità costituitasi sulla base del principio di autodeterminazione dei popoli, la prima vera decisione l’ha già presa: mettere al rogo (gli accendini non mancano di certo) qualsiasi pittogramma che richiami anche lontanamente il divieto di aspirare il gusto forte ed inteso di una bionda.
Il loro addetto stampa di cui non possiamo fornire le generalità per ovvi motivi di privacy diramando il primo comunicato ha reso noto che i cameragassati sono pronti ad omaggiare tutti i colleghi non fumatori di maschere facciali dotate di idonei filtri intercambiabili “perché il rispetto della persona” – ha dichiarato testualmente – “viene prima di tutto il resto”.
Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

sabato 21 dicembre 2013

Monticelli d'Ongina e dintorni




Bella quest'agenda. Appena l'ho vista me ne sono innamorato. Era nascosta in una bancarella natalizia in Piazza della Vittoria. L'ho comprata in un battito d'ali di farfalla, prima che volasse via. Doveva essere mia. Custodirà tutti i miei pensieri senza se e senza ma. E se nel frattempo dovesse riaffiorare qualche lontano ricordo, sicuramente troverà l'ospitalità che si riserva a un amico lontano che pensavi di aver perso irrimediabilmente e riabbracci con gioia.
Me l'ha venduta un giovane col pastrano verde che sapeva d'antico. L'inconfondibile erre moscia che accompagnava la sua fonetica mi ha permesso di identificarlo per quello che era: un piacentino!
Sapete come si dice dalle mie parti? “Piacentini ladri e assassini”… Ma io non credo a questi proverbi paludati della bassa, coniati ad uso e consumo di tifoserie da un secolo in combutta (ricordo un lontano Piacenza – Pavia 3-31 con lancio finale di ombrelli aperti – perché quel giorno pioveva di brutto e non solo sul bagnato - in direzione di un arbitro in vena di manie di protagonismo che concesse alla squadra ospite due rigori consecutivi nello spazio di dieci minuti consentendo di riequilibrare un derby dalle sorti ormai segnate).
Qualcuno potrebbe obiettare che quel giovane non fosse veramente di Piacenza. In effetti non ho avuto il coraggio di rivolgergli l’unica domanda che avrebbe potuto confermarlo tuttavia sono pronto a sostenere che il mio sopraffino ed infallibile udito pur non essendo soggetto a verifica periodica né a certificato di taratura può sbagliare solo di qualche kilometro.
Visto il margine di errore così irrilevante, al mio cospetto avrebbe potuto esserci al massimo un abitante di Rivergaro. Avete presente Rivergaro? Ridente e smaltato centro turistico ai piedi dei colli piacentini. Se così fosse le pagine in carta grezza di questa agenda e le foglie stampate della copertina risentirebbero dell’influsso benefico ed ispiratore del fiume Trebbia. Ma se così non fosse? Se al mio cospetto ci fosse stato – ipotesi da non escludere a priori – ad esempio un abitante di Monticelli d’Ongina (Muntzèi in dialectos)? Allora sarebbe tutta un’altra storia.
Come si fa a chiamare un Comune, Monticelli d’Ongina? La mia musa ispiratrice al massimo mi evoca il ricordo di un’unghia incarnita e nella peggiore delle ipotesi un’angina pectoris. Il sito di wikipedia non è più indulgente riportando a chiare lettere che il paese è noto per la produzione di aglio.
Difficile parlare di paesaggi mozzafiato, molto più probabile incontrare persone che il fiato te lo tolgono. Se così fosse le pagine interne appena un po’ ingiallite e le foglie cadenti della copertina assumerebbero tutto un altro significato.
In verità anni e anni or sono, quando il capello un po’ diradato ancora riusciva ad occultare una piazza in nuce, visitai questo centro del nord Emilia al confine con la provincia di Cremona per assistere ad una partita amichevole dai toni surreali tra la plurititolata compagine ospite nonché rappresentante del capoluogo di provincia (il Piacenza) ormai con un piede nella massima serie e la squadra locale di dilettanti, una squadra fatta in casa (chi fa da sé  fa per tre).
Il valore dell’evento sportivo era talmente inestimabile che anche mille lire sarebbero state troppe. Così al cospetto di un bigliettaio improvvisato seduto in una postazione che sapeva tanto di kit da picnic si decise (notate l’uso dell’impersonale per non svelare per ovvi motivi di galanteria il nome della persona che mi aveva coinvolto) di fare i portoghesi (nulla a che vedere con il famoso Special One). Serbo ancora il ricordo di un campo sportivo spelacchiato intravisto dalle grate ricavate da un muro in cemento che richiamava i decori del cimitero limitrofo. Quando si dice toccare il fondo.
Per un supertifoso del Pavia quale io ero, seguire un’amichevole del Piacenza costituiva  un vero e proprio sacrilegio se non fosse per il fatto che a distanza di qualche mese il baratro divenne ancor più buio e profondo: dovetti assistere, sottolineo dovetti, alla partita di Campionato Piacenza- Ascoli (4 a 0 per il Piace con gol di un giovane Pippo Inzaghi in rampa di lancio).
Mi trovavo mio malgrado nella curva nord della Galleana circondato da tifosi locali in completo rosso fuoco che saltavano e cantavano inneggiando alla loro squadra del cuore (“tieni il tempo” avrebbero detto gli 883). Era il 26 marzo 1995, una serata che anticipava la primavera, con una brezza gentile che accarezzava i cuori di amori mai sbocciati.
Per uno strano scherzo del destino mi ritrovavo nello stesso stadio che undici anni prima2 aveva fatto da coreografia alla storica vittoria della mia squadra del cuore, clandestino spettatore nella curva degli acerrimi nemici. Se tutto questo ha una spiegazione, se tutto questo può essere sintetizzato in una sola parola, allora questa parola è “amore”.
Cara agenda questa è la prima parola che voglio scrivere, in ricordo di tempi passati che non dimenticherò.
1   il 16 ottobre 1983 il Piacenza pareggiò 3-3 a Pavia grazie a due rigori concessi dall’arbitro Tonon di Conegliano dopo essere stata in svantaggio per 3-1  2   il 26 febbraio 1984 il Pavia sconfisse il Piacenza allo stadio Galleana con rete di Corti 

Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

giovedì 27 dicembre 2012

La partita


Non era mai stato un forte giocatore, aveva iniziato tardi, a venticinque anni e da autodidatta non si era minimamente preoccupato di studiare i principi della strategia e della tattica che animano questo gioco così complesso.
Si accontentava di muovere un pezzo alla volta senza calcoli di sorta, incurante della propria mediocrità.
Nonostante tutto era riuscito ad ottenere un brillante piazzamento alla prima partecipazione di torneo che gli valse la promozione alla terza nazionale. Erano i primi anni novanta. Corsico, piccolo centro a sud di Milano aveva assunto, suo malgrado, la fama di capitale degli scacchi, grazie ad un circolo che organizzava numerosi tornei e corsi di scacchi. Fu proprio da Corsico che partì la sua avventura, in un caldo week end agli inizi maggio. 
Il “Conte”, compagno di tante battaglie calcistiche e scacchistiche, lo convinse ad iscriversi e lui, vincendo un’iniziale ritrosia decise che avrebbe partecipato, in fondo non aveva nulla da perdere da questa nuova esperienza.
Per la prima volta sperimentò sulla propria pelle l’agonismo del gioco, la lotta contro il tempo decretata da un orologio che incute rispetto concedendoti di pensare salvo poi presentarti il conto se sei troppo riflessivo, l’obbligo di trascrivere ogni mossa sul formulario, ma soprattutto la regola più importante: se non hai carattere, potrai anche vincere qualche partita ma questo gioco, così violento e distruttivo non farà mai per te.
Lasciarsi andare al primo errore preferendo commiserarsi per l’occasione sprecata, proporre patta a giocatori più forti pur essendo in posizione di forte vantaggio sono solo alcuni sintomi di una malattia che se non viene curata in tempo porta il giocatore o pseudo tale alla distruzione del proprio ego perché in realtà è proprio quello che è in gioco.
Ogni partita è lo specchio della vita perché riflette senza possibilità di appello il nostro modo di agire alle difficoltà ed ai vantaggi che si presentano quotidianamente. Non è solo una questione di logica, di calcolo, di conoscenza strategica e tattica, qui entrano in gioco i sentimenti ed una componente psicologica molto forte.  
Iniziò il suo primo torneo, carico di aspettative e di curiosità nei confronti  di un mondo che non aveva mai vissuto così da vicino.
L’enorme stanzone con i tavoli ordinati come banchi al primo giorno di scuola, le scacchiere con gli schieramenti al completo del bianco e del nero intenti a scrutarsi in attesa dell’imminente battaglia, gli orologi tutti sincronizzati sulle ore tre, l’autorità degli arbitri custodi del silenzio e del rispetto delle regole, i segnaposti progressivi che avrebbero distinto nel corso della competizione i primi della classe dagli asini, in una sorta di selezione che solo la natura opera, offrivano agli occhi del giocatore esordiente uno spettacolo coreografico particolarmente suggestivo che conservò nella sua mente per molto tempo.
I giocatori arrivarono in sala gioco in modo caotico, dopo aver versato la quota di iscrizione, tutti in attesa spasmodica di conoscere il nome ed il volto del loro primo nemico da battere. 
Finalmente la stampante a getto d’inchiostro produsse l’atteso oracolo degli accoppiamenti. Prontamente un arbitro si premurò di affiggere in bacheca i risultati del sorteggio.
Un’orda di barbari si precipitò verso di lui accalcandosi di fronte al foglio fresco di stampa. La calca durò pochi minuti e si diradò man mano che i giocatori, presa coscienza del loro destino, si andavano a sistemare ai propri posti.
In tutto questo tempo, fingendosi giocatore navigato, rimase in disparte a gustarsi questo insolito fuori programma poi, quando l’orda venne meno, si diresse verso la bacheca per leggere l’accoppiamento: settima scacchiera, avrebbe giocato col bianco contro Sebastiano Fiori.
Cercò il tavolo e trovò il suo avversario già intento a compilare con cura maniacale le sezioni del formulario: il nome del torneo, il numero del turno, la data, i nomi dei contendenti.  Era un giovane alto e muscoloso che se incontrato dopo il coprifuoco avrebbe destato la preoccupazione di molta gente.  Appena si accorse di lui si sciolse in un sorriso tendendo la mano dalla stretta energica  “Ciao mi chiamo Sebastiano”.
Rispose al saluto con un saluto cercando di non tradire l’emozione e di non farsi frantumare, per quanto possibile, dalla mano energica del contendente. Dopo essersi seduto si accinse a compilare quel formulario che vedeva per la prima volta e attese. Non passò un minuto quando echeggiò forte e decisa l’esclamazione del capo arbitro: “In moto l’orologio del bianco!”.
Il suo primo torneo stava per avere inizio.
Giocò la sua solita apertura di Donna, quella che all’oratorio gli valse i migliori risultati, quasi incurante del controgioco che il nero stava mettendo in atto. Man mano che la partita progrediva, si rendeva conto di come il suo avversario, a discapito dell’aspetto, non fosse un fulmine di guerra.
Mantenne i nervi saldi cercando di evitare qualsiasi errore secondo il credo trapattoniano “primo non prenderle” finché giunse il momento di cogliere l’attimo, di fare la “mossa killer”, quella che ti consente di dominare la partita approfittando dell’errore del tuo avversario.
Alla diciassettesima mossa il nero lasciò imprudentemente indifesa la casa g7 consentendo al bianco un formidabile e devastante attacco di Donna che si  sarebbe concluso qualche mossa più tardi con una brillante vittoria.
Il giocatore nero resosi conto del fatale errore fu colto da un’improvvisa vampata di calore che ridipinse il suo volto. Con la morte nel cuore cercò una strenua difesa ma ad ogni mossa peggiorava ancor più un destino ormai irrimediabilmente scritto. Fermò il timer dell’orologio e tese la mano verso il suo avversario in segno di resa. Alzandosi piegò meticolosamente il formulario ed abbandonò la sala gioco.
Per il bianco si trattava della prima vittoria in carriera e se la voleva gustare in ogni suo particolare.
Rimase seduto ammirando lo spettacolo della scacchiera, le gambe gli tremavano ancora dall’agitazione.
Come in un flashback ripercorse d’un fiato tutto il film del match fino alla mossa killer, quando uno stato di agitazione improvvisa l’aveva investito paralizzando la sua concentrazione: la paura di perdere una partita già vinta aveva rischiato di essere più forte di tutto il resto.
Chiuse gli occhi e subito li riaprì tirando un sospiro di sollievo, la partita l’aveva vinta davvero.

1.d4 Cf6  2. Af4 e6 3. e3 b6 4. Ad3 Ab7 5. Cf3 Ae7 6. h3 Cc6  7. 0-0 d6 8. Cbd2 Cb4 9. De2 Cxd3 10. Dxd3 d5 11. Ce5 Ce4 12. Cxe4 dxe4 13. Dc3 c5 14. Tfd1 Ad5 15. dxc5 axc5  16. b4 Ad6  17. Cc6 Dd7 18. Dxg7 Tf8 19. Ce5 Axe5 20. Axe5 Db5 21. Ad6 Rd7 22. Axf8 e5 23. Dxe5 Rc6 24. Dd6+ Rb7 25. Txd5 1-0

Scritto da Rizzi Pietro

Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.